Questa non è una descrizione. Migliaia di libri (di sempre), riviste e giornali (spesso in annate complete) e opuscoli, manifesti, volantini a stampa e a ciclostile: tutto questo, diecimila più diecimila meno, come negli scaffali di chi abbia fatto lavoro intellettuale per tutta una vita adulta con passione, attenzione, curiosità (e una dose di bibliofilia). Ma il tesoro, unico, conservato negli armadi e negli scaffali (lunghi come la quaresima) della casa-biblioteca-archivio di Cesare Bermani è il gran numero di nastri, dischi, cd pieni di parole parlate e cantate (e “suonate”, diciamo). Sono il frutto di un lavoro di ricerca sul campo, condotto in prima persona e durato una sessantina d’anni, fatto in giro per l’Italia (e non solo) dall’antropologo-storico Bermani, per il quale il registratore (o magnetofono, come lo chiamava quando era ragazzo) è stato un accompagnatore costante; di più, una sorta di protesi naturale e irrinunciabile, a partire dai primi passi solitari sulla lunga strada che oggi viene chiamata “storia orale”. Registratore e nastri per raccogliere “tutto” quello che è dicibile a voce e che è necessario salvare e sapere per poter arrivare a conoscere la cultura e la storia della classi subalterne di questo paese (e non solo). E quindi sono le memorie dei singoli protagonisti (da dirigente, da militante, da semplice iscritto o neppure) della storia della Sinistra e del Movimento operaio; i racconti degli antifascisti e dei partigiani (combattenti e no); i canti (di lavoro, di donne, di osteria, di resistenza…) raccolti nel momento del canto spontaneo o fatti ricantare per registrarli e non lasciarli morire. Ma sono anche, insieme con le voci degli scioperi e i suoni delle manifestazioni politiche nelle strade, le tradizioni festose dei “Maggi” e le storie notturne di magia dell’antica Italia contadina.

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